Riflessioni dopo il convegno del 11/12/2020 presso la Corte di Cassazione – Roma organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma e dalla Commissione Monitoraggio Legislativo e Giurisprudenziale.
Premessa: quanto segue è il frutto di riflessioni avvenute prima, durante e dopo rispetto al convegno che si è tenuto a Roma, e contiene alcune dei temi che sono stati trattati anche da altri relatori che, di conseguenza, ho fatto miei.
Interessi moratori: quali criteri per verificarne l’usurarietà?
Fino alla pronuncia delle Sezioni Unite N. 19597/2020, si possono riassumere le posizioni tenute dai contrapposti orientamenti giurisprudenziali:
Una parte riteneva che gli interessi moratori andassero confrontati con lo stesso Tasso Soglia Usura utilizzato per gli interessi corrispettivi: per brevità, fino al 2011 il TSU era calcolato aumentando del 50% il Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), indicato trimestralmente dai Decreti Ministeriali, mentre dal 2011 il TSU viene calcolato aumentando il TEGM del 25% e aggiungendo 4 ulteriori punti percentuali.
L’altra parte riteneva che gli interessi moratori andassero confrontati con il TEGM, aumentato di uno spread pari a 2,1 punti percentuali, aumentando questo nuovo tasso della metà o del 25% più 4 punti percentuali, a seconda del periodo di stipula del contratto.
La Sentenza ha definitivamente posto un punto sulla questione, ritenendo che il tasso di mora vada confrontato con lo stesso TSU del tasso corrispettivo solo quando i Decreti Ministeriali non indichino lo spread medio di mora; quando, invece, questo spread medio viene indicato, allora deve necessariamente essere incluso nel calcolo del Tasso Soglia Usura.
Conseguenze dei criteri per l’individuazione del TSU
Con la decisione in commento, la Suprema Corte sostiene innanzitutto che gli interessi moratori devono sottostare alla normativa antiusura, ponendo fine anche il dibattito sulla “diversa natura” dei due tassi di interesse; però viene incontro ad entrambe le parti, dando un criterio certo per l’identificazione del TSU.
Alcune perplessità, però, nascono dalla rilevazione dello spread e, nuovamente, riportano al perché una parte (compreso chi scrive) riteneva che si dovesse utilizzare lo stesso TSU per verificare l’usurarietà di interessi moratori e interessi corrispettivi:
Come viene rilevato questo spread medio da parte della Banca d’Italia? Su quali rapporti? Su quanti rapporti? Ogni quanto tempo? Ogni rapporto contrattuale avrà ovviamente spread di mora diversi: risulta quanto meno complesso confrontare uno scoperto di conto corrente, con un mutuo, con un leasing, e confrontare anche rapporti con importi erogati molto diversi tra di loro.
Sull’osservazione che il TEGM non includeva l’eventuale spread relativo alla mora, non resta che, sommessamente, far notare che in un piano di ammortamento di mutuo attualizzato per il calcolo del TEG, anche qualora venissero inclusi degli interessi moratori per alcune rate, lo stesso TEG non subirebbe una modifica di punti percentuali (i famosi 2,1), ma probabilmente di centesimi o di decimi. Perché questo? Perché gli interessi moratori sono di valore inferiori agli interessi corrispettivi, dato il diverso metodo di calcolo.
Differenza tra interessi moratori e interessi corrispettivi – una nota tecnica, non giuridica
Tralasciando a più fini giuristi l’analisi della diversa natura dei due tassi, si vuole solo far notare che:
- Gli interessi corrispettivi, ovvero il beneficio ottenuto dalla banca per mettere a disposizione un determinato importo e per garantirne la rateizzazione, sono pari al TAN, diviso per il numero di rate presenti in un anno (in caso di rate mensili, il TAN verrà diviso per 12) e moltiplicato per il debito residuo alla data di scadenza della rata, mentre
- Gli interessi moratori sono pari al tasso di mora, diviso per 365 che sono i giorni presenti un anno, moltiplicato sia per l’importo dovuto e pagato tardivamente, sia per i giorni di ritardo intercorrenti tra il momento in cui l’importo era dovuto e il momento in cui l’importo viene pagato.
La differenza fondamentale sta nel fatto che, mentre gli interessi corrispettivi si ottengono utilizzando come base il debito residuo, gli interessi moratori si ottengono utilizzando come base la rata. Questo comporta che gli interessi moratori, sebbene in termini percentuali siano sempre superiori agli interessi corrispettivi, in termini assoluti lo saranno molto raramente.
Perché mi soffermo su questo aspetto? Come sopra riportato, non si comprende quanto potesse variare il TEGM rilevato da Banca d’Italia se avesse incluso anche gli interessi moratori; la seconda ragione verrà spiegata successivamente.
Sanzione in caso di usurarietà degli interessi moratori
Fino alla sentenza delle SS.UU. N. 19597/2020, si potevano trovare varie posizioni anche su quelle che dovessero essere le conseguenze di una rilevata usurarietà:
Alcuni richiedevano la gratuità del mutuo, chiedendo di applicare alla lettera l’art. 1815 del c.c., e di intendere non solo la nullità della clausola che prevedeva interessi usurari, ma anche di leggere il “non sono dovuti interessi” dell’articolo del codice come una chiara indicazione di sanzionare la banca con la totale gratuità del rapporto;
Alcuni richiedevano di rendere nulla la clausola, e di applicare il tasso legale in sostituzione di entrambi i tassi, sia quello moratorio che quello corrispettivo;
Altri ancora ritenevano che si dovesse ricondurre ad equità il tasso di mora.
Ebbene, la Corte di Cassazione sostiene che la sanzione derivante dall’usurarietà debba essere sì la nullità della clausola che prevede gli interessi moratori, ma che li si debba ricondurre a livello degli interessi corrispettivi, applicando l’articolo 1224 del codice civile; tale ipotesi da applicarsi, ovviamente, solo qualora il tasso corrispettivo sia stato lecitamente pattuito.
Tale decisione è stata assunta con l’intento di non premiare il debitore inadempiente rispetto al debitore adempiente, eventualità che si otterrebbe eliminando totalmente il tasso moratorio.
Riflessioni sulle sanzioni
Le conseguenze di questa decisione possono leggersi in una sorta di “assoluzione” completa della banca: anche se gli interessi moratori sono usurari, non può esserci né la gratuità del mutuo, né la totale assenza di una sanzione per il debitore inadempiente.
Ritengo che da una parte sia condivisibile quanto stabilito: come detto sopra, gli interessi moratori sono quasi sempre inferiori, e non di poco, agli interessi corrispettivi, anche se applicati su più rate; si può facilmente verificare, stilando un piano di ammortamento, che anche se si prevedessero 7 rate in mora, il “danno” derivante al cliente bancario da un tasso moratorio in usura si potrebbe quantificare in poche centinaia di euro.
È anche accettabile che un danno, per altro eventuale, quantificabile in importi così “esigui” rispetto al valore degli interessi corrispettivi, non comporti la totale gratuità del rapporto; in fondo, si potrebbe facilmente argomentare che la sanzione debba essere proporzionata alla violazione: come potrebbe essere “giusto” punire con una sanzione di svariate migliaia di euro, un danno dal valore di poche centinaia di euro?
Allo stesso tempo, però, non si vedono reali conseguenze per chi la violazione l’ha commessa.
C’è un altro punto, però, che mi ha destato qualche perplessità.
Rate scadute e rate a scadere
La Corte, all’ultimo paragrafo del punto v.3, indica le conseguenze derivanti per il debitore in caso di decadenza dal beneficio del termine: qualora si verifichi il caso di decadenza e di interessi moratori in usura, le SS.UU. sostengono che le rate scadute siano interamente dovute per capitale, interessi corrispettivi, e interessi moratori nella misura del tasso corrispettivo, mentre le rate a scadere siano dovute non solo per la linea capitale, ma anche per la linea interessi.
Citando il paragrafo in esame “Per quanto attiene le rate a scadere, sorge l’obbligo d’immediata restituzione dell’intero capitale ricevuto, sul quale saranno dovuti gli interessi corrispettivi, ma attualizzati al momento della risoluzione: infatti, fino al momento in cui il contratto ha avuto effetto, il debitore ha beneficiato della rateizzazione, della quale deve sostenere il costo, pur ricalcolato attualizzandolo, rispetto all’originario piano di ammortamento non più eseguito; da tale momento e sino al pagamento, vale l’art. 1224 c.c., comma 1.”
Dalla lettura l’impressione che si ottiene è che la Corte sostenga essere dovuti anche gli interessi corrispettivi delle rate non scadute, sebbene il piano di ammortamento sia decaduto: questa è una vera novità, nonché una sanzione ulteriore per il dipendente. Non si comprendono, infatti, svariati aspetti:
- Per quale motivo il debitore dovrebbe sostenere il costo della dilazione, non avendo più il beneficio derivante dalla stessa;
- A quale tasso andrebbero, eventualmente, attualizzati gli interessi corrispettivi delle rate non scadute;
- A quale data andrebbero attualizzati gli stessi.
Si vuole porre poi l’accento su un ulteriore aspetto: il debitore inadempiente è nelle condizioni di non poter onorare le rate, e si troverà (giustamente) a vedersi chiedere tutto il debito in linea capitale non ancora saldato; non si comprende davvero per quale motivo si debba ulteriormente peggiorare la sua posizione, chiedendogli di onorare anche la linea interessi.
Va considerato, inoltre, che per quella che è la struttura tipica dell’ammortamento alla francese, per i primi anni le rate saranno costituite per una quota di interessi maggiore rispetto alla quota capitale, di conseguenza il debitore si troverà per molto tempo a vedere dei flussi finanziari in uscita piuttosto consistenti, avendo onorato solo una piccola parte del proprio debito.
A mio parere, questa previsione è incredibilmente (e anche ingiustificatamente) punitiva nei confronti di un debitore che, per quanto inadempiente, non merita tale severità.
Una piccola nota ulteriore, in merito ad alcune posizioni assunte sul tema attualizzazione degli interessi corrispettivi delle rate non scadute: anche qualora gli stessi venissero scontati alla data di stipula del contratto, non verrebbero azzerati – come è stato anche sostenuto.
Innanzitutto, solo in due casi un numero può diventare zero: o quando viene moltiplicato per zero, oppure quando viene diviso da un numero talmente più grande da farlo tendere a zero; in quest’ultimo caso, ho utilizzato in maniera un po’ impropria il concetto matematico di “limite”.
La “confusione” sul tema nasce dal fatto che il TAEG è quel valore che alla data di stipula del mutuo eguaglia tutti i versamenti futuri da parte del cliente con quanto erogato dalla banca – tradotto, è quel valore che azzera la differenza tra il flusso in entrata alla data di erogazione e la somma dei flussi in uscita con ogni rata.
In sostanza, ad essere azzerata è dunque una differenza (entrata presente meno somma delle uscite future), non il valore degli interessi corrispettivi, che saranno sì ridotti, ma non azzerati.
Ulteriori riflessioni
Oggi, con la crisi dovuta al Covid 19, capita spesso che i clienti bancari si trovino in mancanza di liquidità e facciano fatica a sostenere i propri debiti; abbiamo però avuto modo di vedere che, in alcuni casi, i “problemi di oggi” sono frutto degli “errori di ieri”: ad esempio, come tecnici abbiamo avuto modo di verificare che i mutui risentano molto di quella che è stata la bolla immobiliare scoppiata in seguito alla crisi del 2008. Sebbene le conseguenze non siano paragonabili a quelle della crisi dei mutui subprime nel mercato americano, oggi molti rapporti risentono del fatto di essere stati concessi tenendo a garanzia valori “gonfiati” e che non torneranno più; per questo, le stesse banche si troverebbero a pignorare immobili senza rientrare di un valore nemmeno lontanamente paragonabile a quello del debito residuo.
A volte, errori simili sono stati fatti anche nei confronti degli imprenditori, offrendo linee di credito a soggetti con bilanci non sempre in ordine.
Per queste ragioni, si ritiene che in tempi di crisi si dovrebbe essere più attenti e più disposti a mediare fra posizioni diverse, in modo tale da limitare i danni da entrambe le parti.
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